La seconda vita di Giulia dal buio alla grande vela

Da Repubblica del 6 settembre 2010


Quasi due anni fa un terribile male rende cieca una donna palermitana. Che non si arrende e trova nuove motivazioni nello sport. Fino a stupire tutti timonando una imbarcazione nella Palermo-Montecarlo. Con successo LE FOTO

di GIOVANNI MARINO
La seconda vita di Giulia dal buio alla grande vela Giulia in regata al timone di Enoch
Timona ascoltando il soffio del vento. Il gonfiarsi delle vele. L'impatto dello scafo sul mare. Giulia Di Piazza ha perso la vista. Non la speranza, nè la capacità di vivere una esistenza piena, senza porsi limiti. La luce si è spenta in poco tempo, già adulta, alla nascita della sua seconda adorata figlia. Un destino crudele le ha dato, assieme, la più grande gioia e un tremendo verdetto.

Non si è arresa. Ha combattuto per sè e per i due bimbi. La cecità è stato il prezzo da pagare per tenere sotto controllo un terribile male. Sgomento, dolore, sconcerto, si può solo immaginare. Affrontarlo, è ben altro. Ma è ripartita, con il suo dolce sorriso, con un senso e un significato dell'esistenza che è fonte di ispirazione. Ed eccola al timone di Enoch, un First 47,7, una barca progettata da Bruce Farr e costruita dalla Beneteau, intraprendere la Palermo-Montecarlo. Ormai un classico dell'estate, nato da una joint venture siculo-monegasca che ha visto tra i suoi artefici Agostino Randazzo, sportivissimo presidente di uno dei più antichi e blasonati club italiani: il Circolo della Vela Sicilia, location incantevole e tradizione gattopardesca. 

Giulia e non solo. Nell'equipaggio composto da 11 velisti, anche altre persone che affrontano con coraggio le curve ostili della vita. Un esempio di interazione, di sport autentico, di bellezza. E di agonismo puro. Già, perché Enoch la sua gara se l'è giocata fino in fondo, dando battaglia e
ottenendo risultati di prim'ordine: dodicesima nella classifica IRC e quinta in quella ORC.

La timoniera palermitana che ascolta il vento ha avuto l'onore e l'onere di condurre Enoch in partenza e all'arrivo e per lunghi tratti. Come, lo spiega lei. Con la stessa naturalezza e semplicità con cui descrive la cecità che l'ha colpita, non abbattuta. "Ho 43 anni, ho vissuto una vita normalissima fino al 2006. Il 20 dicembre per l'esattezza. Quel giorno nacque Greta, secondogenita dopo Lorenzo e avvertii un insopportabile mal di testa. I medici mi dissero: tumore benigno, ma così esteso da rendere indispensabili due interventi chirurgici ad alto rischio per alleggerire la pressione. Nessuna scelta. La vista era già compromessa e l'avrei inesorabilmente persa. E' andata proprio così il nervo ottico ha smesso di funzionare, prima per un occhio e poi per l'altro: il 19 gennaio 2009 sono diventata cieca".

Inzia così una seconda vita. "Ho studiato la malattia e preparato la mia esistenza da non vedente, mi sono attrezzata: dal telefono vocalizzato al mio Mac con un fantastico programma chiamato Snow Leopard. Ho voluto quindi conoscere i compagni dell'Unione italiana ciechi, ne sono diventata delegata nazionale e membro delle commissioni lavoro e sport".

Poi il colpo di fulmine: la vela. "Devo tutto al presidente della Lega Navale, Carlo Bruno, un uomo dalla sensibilità straordinaria che usa la barca anche come terapia per curare il disagio, tra l'altro ha fatto navigare pure i ragazzini a rischio del quartiere Zen. Alla Lega ho seguito il corso, ho imparato tanto finché un giorno ho sentito Carlo dire: "Questa la portiamo in regata, alla Palermo-Montecarlo". Ho pensato: chissà chi è questa, deve essere brava. Ero io e quasi non ci credevo. Così sono finita su Enoch, con il bravissimo skipper Maurizio D'Amico, altra persona straordinaria, come il team manager e coordinatore dei progetti vela per l'integrazione, Beppe Tisci. Tutto particolare. Era una barca speciale, con noi c'erano una donna malata di sclerosi multipla compresa nel programma Sailing for health e altri due compagni che hanno subito qualche difficoltà. Avevo contattato il campione mondiale di vela per non vedenti che si chiama Gigi Bertanza e si allena con continuità sul Lago di Garda. E' stato splendido".

Come hai fatto, Giulia?, è stata la domanda a cui ha dovuto rispondere con più insistenza. Sempre con il sorriso: "La relazione con il vento non è visiva, te lo senti addosso, è una sensazione primitiva. E poi ascolti una miriade di rumori: le vele che sbattono, i carrelli che scorrono, l'acqua attraversata dallo scafo. E allora se colleghi tutto questo, aggiungi l'inclinazione della barca quando hai le mani sul timone, i suggerimenti dei compagni, puoi timonare ed è bellissimo".
 
Giulia entra nei dettagli della competizione e del suo ruolo. "Mi hanno trattato esattamente come gli altri. Turni regolari: due ore di lavoro e due di riposo. Mi chiamavano per ogni scelta. Si discuteva. Noi abbiamo scelto una rotta diversa e invece di seguire gli altri lungo le Bocche di Bonifacio, abbiamo lasciato la Corsica a sinistra per cercare di scavalcarli fidando nelle previsioni che davano un vento fresco di nord-est sul Tirreno e puntando così verso l'Elba. Siamo passati a nord dell'isolotto della Giraglia. In linea generale la nostra barca andava forte sulla velocità ma era nulla quando il vento era scarso".

Momenti di difficoltà, pochi. Emozioni, tante. Persino troppe. "E anche per questo ho avuto un piccolo crollo emotivo quando mi hanno detto: "Giulia, fai tu l'arrivo". Lì in un attimo ho pensato: non vedrò Montecarlo, non vedrò le facce soddisfatte dei nostri e mi sono anche un pochino spaventata per l'impresa sportiva, dove diavolo era la boa?. In quel momento è stato bravo e pronto Maurizio D'Amico a scuotermi e a urlarmi: "Cazza il paterazzo", che, come i velisti sanno, non è una imprecazione ma una manovra per ridare il giusto assetto alla barca. L'ho fatta, poi all'arrivo, ho sentito solo gli applausi".

"Ho avuto un dono", conclude Giulia. "In barca c'erano undici persone che si sono aperte improvvisamente e si sono date senza pregiudizi. Voglio andare avanti. Nella vela e nella vita". E ascoltandola, in questo lungo racconto della sua vicenda umana e sportiva, capisci che neppure la malattia e le operazioni hanno spento la luce del suo spirito: viva, forte, inestinguibile. Pronta a salpare verso nuovi traguardi.
g. marino@repubblica. it             
(06 settembre 2010)

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